“Siamo quello che scriviamo, da lì non ci scappi.”
Usava dire la mia vecchia prof. di lettere. Ho sempre avuto un ottimo rapporto con questa materia, in ogni livello di scuola. Ma credo sia stato ai tempi delle medie superiori che ho sviluppato un affetto particolarmente approfondito per la scrittura. Capita sempre così; chi ha delle difficoltà, o semplicemente un’avversione profonda, per la matematica solitamente ama il suo rovescio della medaglia. La matematica ha leggi ferree, non la puoi inventare o uscire dalle sue regole, i numeri non sono opinioni ma precisi puntelli della fisica e della materia. A differenza della lingua, che ha si anch’essa le sue precise regole, ma ti permette di spaziare con una maggiore libertà. Permette alla fantasia di svilupparsi, di seguire un proprio volo più o meno pindarico. Permette di sognare. Ecco quindi che affascinato sempre dalla fantasia, dai suoi aspetti concreti o estremamente evanescenti, mi sono tuffato prima nella lettura e poi nella scrittura. Scrivere è per me basilare, è un modo di esprimere concetti, di liberare argomenti altrimenti difficilmente in grado di spaziare all’esterno. Scrivere è attingere al proprio interno, scavare a fondo in quello che abbiamo dentro chiuso da compartimenti stagni, trovare la chiave per collegare le stanze nascoste. Se è vero che gli insegnanti hanno il dovere di aiutarti a sviluppare e intraprendere la strada verso cui sei predisposto, devo ammettere che a più riprese hanno cercato di forzare la mia timidezza e cocciutaggine, per spingermi verso corsi di scrittura che permettessero alla mia creatività di maturare con la penna.
Chissà come mai sono proprio gli insegnanti di lettere che ricordo con maggiore affetto, rammentando le loro lezioni, la loro capacità di farci scorgere quel barlume celato dentro le pagine di un libro, dietro la biografia di un autore. Sono stati importanti per la mia formazione e mi hanno aiutato ad amare questa forma di espressione oggi per me indispensabile. Grazie.
Usava dire la mia vecchia prof. di lettere. Ho sempre avuto un ottimo rapporto con questa materia, in ogni livello di scuola. Ma credo sia stato ai tempi delle medie superiori che ho sviluppato un affetto particolarmente approfondito per la scrittura. Capita sempre così; chi ha delle difficoltà, o semplicemente un’avversione profonda, per la matematica solitamente ama il suo rovescio della medaglia. La matematica ha leggi ferree, non la puoi inventare o uscire dalle sue regole, i numeri non sono opinioni ma precisi puntelli della fisica e della materia. A differenza della lingua, che ha si anch’essa le sue precise regole, ma ti permette di spaziare con una maggiore libertà. Permette alla fantasia di svilupparsi, di seguire un proprio volo più o meno pindarico. Permette di sognare. Ecco quindi che affascinato sempre dalla fantasia, dai suoi aspetti concreti o estremamente evanescenti, mi sono tuffato prima nella lettura e poi nella scrittura. Scrivere è per me basilare, è un modo di esprimere concetti, di liberare argomenti altrimenti difficilmente in grado di spaziare all’esterno. Scrivere è attingere al proprio interno, scavare a fondo in quello che abbiamo dentro chiuso da compartimenti stagni, trovare la chiave per collegare le stanze nascoste. Se è vero che gli insegnanti hanno il dovere di aiutarti a sviluppare e intraprendere la strada verso cui sei predisposto, devo ammettere che a più riprese hanno cercato di forzare la mia timidezza e cocciutaggine, per spingermi verso corsi di scrittura che permettessero alla mia creatività di maturare con la penna.
Chissà come mai sono proprio gli insegnanti di lettere che ricordo con maggiore affetto, rammentando le loro lezioni, la loro capacità di farci scorgere quel barlume celato dentro le pagine di un libro, dietro la biografia di un autore. Sono stati importanti per la mia formazione e mi hanno aiutato ad amare questa forma di espressione oggi per me indispensabile. Grazie.